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Basta volerlo. Facciamolo.

«Che piacere rivedervi di nuovo! Pensavo sarebbe passato un anno per il nostro prossimo incontro» ho salutato così domenica scorsa, con felice sorpresa, una coppia di vacanzieri rientrata a casa in Lombardia a fine agosto e ripresentatasi dopo soli sette giorni in Liguria. «Reverendo! Sa, ci siamo detti: possiamo ancora beneficiare di un fine settimana di mare, approfittiamone subito prima che ci rinchiudano dentro di nuovo». E allora buona, inaspettata e piccola vacanza a questi due amici, parrocchiani estivi. Di cui però non condivido la paura: i nostri governanti sanno che con difficoltà accetteremmo un nuovo lockdown generalizzato. Ma comprendo nei miei amici vacanzieri l’ansia cresciuta e accompagnata dalle notizie gridate dei media. E’ curioso come i nostri giornali denuncino l’aumento vertiginoso di casi positivi al coronavirus nella Costa Azzurra francese, mentre i quotidiani d’Oltralpe ricambiano il favore parlando di analoghi problemi nella Riviera dei Fiori. Che la coincidenza invertita sia un bisogno di attirare il pubblico o un ragionato sistema concordato per tenere a bada le masse ricordando il pericolo sempre presente dietro l’angolo, resta evidente l’essere rimasti sospesi, come società, sugli sviluppi futuri della questione e quindi passibili di dubbi, giustificati attacchi di ansia e reazioni financo un poco grottesche come il bisogno di recuperare qualche ora d’aria prima di «rientrare nella cella domestica». Continuiamo a parlare del virus e delle implicazioni che a causa sua perdurano nella nostra vita: anche se abbiamo iniziato da mesi a reagire, anche se i nostri protocolli danno l’evidenza di funziona. Come chiesa italiana abbiamo «spostato» milioni di anziani da quando è stato possibile riprendere le messe con concorso di popolo: non mi risulta che sia stato segnalato, su scala nazionale, un solo caso di infezione dovuta alla partecipazione alle celebrazioni religiose. E insieme agli anziani più abitudinari c’erano le famiglie, i bambini, i parenti che poi andavano a trovare gli infermi a casa. Si è celebrato nelle grandi chiese e in diversi casi ci si è riuniti a pregare in piccole cappelle. Ovunque i fedeli cattolici si sono comportati bene; i sacerdoti hanno fatto rispettare le regole con pazienza e buon senso. Il risultato sotto gli occhi di tutti è quello di un protocollo intelligente e attento, pur con qualche limitazione, di una vita che profuma di normalità e non solo di mascherina. La scuola francese di Ventimiglia ha riaperto i battenti il primo settembre. Mascherine ai docenti e al personale di servizio, i bambini senza fino all’età di 11 anni: distanza di sicurezza negli ambienti chiusi e gioco libero all’aria aperta (come i ragazzi hanno già fatto per tutta l’estate di loro gioiosa spontaneità). Sono partiti in modo deciso e chiaro: tra pochi giorni faranno la foto di classe, senza mascherina, per un anno scolastico dove tutti sono determinati ad arrivare a fine percorso: oltre loro così in tutte le scuole di Francia. Sarebbe ingiusto e superficiale ritenere che i francesi siano incuranti dei piccoli e della loro salute. Come per le nostre chiese hanno compreso che regole studiate, giuste, condivise funzionano. Si può fare.